Inquietudine e solitudine

di Cinzia Merlino

Inquietudine per me è profondamente coniugata con solitudine, tensione delle nostre "antenne" verso un altro da noi che il mondo confuso e desolato non ci permette di sentire.

".. Alla fine di questa giornata rimane ciò che è rimasto di ieri e ciò che rimarrà di domani; l'ansia insaziabile e molteplice dell'essere sempre la stessa persona e un'altra."
Fernando Pessoa, "Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares", Feltrinelli editore,2003

L'uomo è per sua natura "animale inquieto", tuttavia occorre distinguere la falsa inquietudine, che proviene dall'esterno, dall'inquietudine autentica che nasce, invece, nell'anima e di essa si alimenta.
Inquietudine che non è quella di altri tempi, in cui la vita era ricca di avventure, poiché è un'inquietudine che sopportiamo, nella quale ci sentiamo reclusi.
È un'inquietudine che ci viene da fuori, non un'attività liberatrice che scaturisce da dentro. La cosa più umiliante per un essere umano è sentirsi portato, trascinato come se gli si concedesse a malapena un'opzione o fosse a stento possibile scegliere, senza poter prendere alcuna decisione perché qualcun altro, che non si prende la briga di consultarlo, la sta già prendendo al suo posto.
Tale passività si manifesta nella più tremenda solitudine. Oltre a sentirci inquieti ci sentiamo anche sottomessi a una "solitudine senza tregua". Ma con la solitudine succede lo stesso che con l'inquietudine: anche la solitudine è propria della vita di sempre, anch'essa sta nel fondo della vita umana.
La solitudine dell'epoca di crisi è tuttavia ben diversa dalla solitudine dell'uomo sveglio, dato che non è dovuta a una maggiore lucidità e può perfino racchiudere una maggiore confusione. Si tratta di una solitudine provocata dall'inquietudine, poiché non sappiamo, né possiamo essere in qualche modo certi di alcunché. Ci ritroviamo così soli perché siamo inquieti e confusi".
Maria Zambrano, "Verso un sapere dell'anima", Cortina Raffaello editore, 1996

L'inquietudine, come modo instabile di abitare il mondo, è sentimento di una mancanza, desiderio di un "qualcosa" che non possediamo. L'analisi di Locke sull'inquietudine coglie nel segno: «Il disagio che un uomo avverte per l'assenza di una cosa qualunque la cui presenza attuale porta con sé l'idea di piacere, è ciò che chiamiamo desiderio».
Inquietudine e desiderio per Locke, dunque, si identificano, poiché anche il bene più grande, pur riconosciuto come tale, non muove la volontà finché il nostro desiderio non ci abbia reso inquieti per la sua effettiva mancanza.
Non a caso, un altro grande filosofo, Condillac, parla di inquietudine o tormento, insomma di indicibile sofferenza, quando c'è privazione di qualcosa che desideriamo fortemente; se, di contro, il desiderio s'appunta su una mancanza di poco conto c'è solo "malessere o leggero dispiacere".

Inquietudine e desiderio della mancanza rinviano ad una sorta di angoscioso struggimento per un amore non corrisposto da parte della vita, di questa vita, che vorremmo totalizzante, appagante, espressiva di un'assoluta pienezza di senso che, in realtà, non le appartiene.
Insomma, la volontà è strutturalmente inquieta, poiché spera nell'introvabile; ama ciò che è straordinario, maestoso; partecipa dell'infinito; cerca in ciò che non le è noto quello che non trova nelle cose comuni, quotidiane.
L'uomo, in altri termini, si vede come un essere divaricato tra desiderio e assenza, come un essere irrisolto, frustrato, come proiezione solo ideale verso un Oltre - l'Infinito - che sempre gli sfugge, perché la natura umana è contraddistinta dal destino di abitare un mondo contingente.
Eppure, siamo al mondo per desiderare il possesso dell'impossibile, per tentare di conoscere l'inconoscibile, per articolare un discorso di senso sull'indicibile, per dare voce, insomma, all'essenza più profonda dell'inquietudine, quella religiosa.
Ricordo le parole di un filosofo contemporaneo, Salvatore Natoli, il cui pensiero di fondo non è certo espressivo di una concezione cristiana dell'uomo e della storia: «L'inquietudine non è un sentimento recente. Non v'è dubbio, però, che, come dice Deprun, è in prevalenza un sentimento moderno. È tra l'altro un sentimento che trova nel cristianesimo una delle sue più originarie e originali matrici. Seppure non è stato il cristianesimo a generare il sentimento d'inquietudine, di certo lo ha fortemente accentuato».