Inquietum est cor nostrum donec requiescat in te

di Massimiliano Filippini

"Tu excitas, ut laudare te delectet, quia fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te."

Ho cercato di attualizzare il famoso incipit delle Confessioni, infatti è questo testo che la proposta di maggio mi ha richiamato. Forse c'è stata nella storia della spiritualità una sua lettura intimistica, appagante: se il nostro cuore trova Dio, è in pace. Non credo che Agostino intenda questo, in ogni caso non mi sembra che ci sia dato di posare il capo nel seno del Padre un certo giorno, in una certa data.

L'inquietudine è la ricerca personale di Dio, ma non solitaria o solipsistica. Del resto Agostino lo incontra nella Chiesa, e il suo cammino di fede è fatto in compagnia di altri: dalla madre, agli amici, ad Ambrogio, senza escludere i filosofi del passato: Platone, Plotino, Cicerone, ecc...
E' vero tuttavia che la nostra inquietudine, eccitata dalla Grazia, si mescola alle nostre inquietudini umane: le amicizie che si acquistano e si perdono, le speranze che naufragano, la salute che si fa incerta, quando non declinante. Il nostro vissuto è una trama di storie e sentimenti assai complessa, “quel guazzabuglio del cuore umano”, dentro cui passa o non passa l'inquietudine alta, cioè la ricerca di Dio.

Non intendo separare, come accade a taluni gruppi o movimenti che conosco, il cammino personale da quello storico (cioè comune ad altri), ma fissare un punto fermo: le nostre inquietudini vanno purificate nella ricerca di una Fede e soprattutto in una speranza escatologica.
Il fatto è che anch'io sono caduto in una trappola storicistica: ho immaginato il cammino della Chiesa dopo il Concilio in termini di progresso, di avanzamento, oltretutto con un occhio corto rispetto ai tempi della storia. Sarebbe bastato pensare ai tempi di attuazione del Concilio di Trento!
Ecco io credo che il rischio di sentirci sempre delusi per quello che accade fuori di noi (e ne abbiamo ben donde) ci faccia perdere la dimensione della gioia, la gioia di Dio.
“Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.” (Gv.15,10-11)

Ho tra le mani un libro scritto da Michel Collard e ColetteGambiez, “Quand l'exclu devient l'èlu”, ed. Fayard, nella cui prefazione leggo:
“C'est une joie difficile. Elle pass par la solitude de l'agonie, l'abandon de siens, le triomphe des suffisant, l'indifference du plus grand nombre. Elle nait de cet ultime désistement de soi: «Entre tes mains, Seigneur, ...». Comme pour saint François à la fin de sa vie, dans la solitude dèsespèrèe da l'Alverne, tandis que ceux qu'il a placès à la tête de sa famille ne tiennent pas les exigences qu'il leur avait transimise, de pauvret [et d'abandon]; au petit frère qui lui demande de venir protester au cours du chapitre qui se prèpare, il répond en souriant: «Dieu est; cela suffit ...» ”
Quindi la mia ipotesi di lavoro è: l'inquietudine non può spegnere la gioia, forse con l'aiuto della leggerezza, che vedo come uno stile di pensare ed agire, dove un pezzo del lavoro va lasciato fare... agli altri, magari allo Spirito.